
Calafataggio e preparazione dello scafo
Ormai lo scafo è pronto per essere calafatato, ora bisogna renderlo stagno.
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Anno di realizzazionenovembre 2018
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Tipologia progetto
E' Il metodo tradizionale per questo tipo di costruzione, che anticamente consisteva nell'inserire nei comenti (gli interstizi tra le tavole dei corsi del fasciame), pressandola con appositi attrezzi, della stoppa filata a mano su cui veniva posta della pece bollente. Successivamente l'opera viva, la parte dello scafo che è immersa nell'acqua, veniva ricoperta di feltro e lastre di rame tenute con chiodini.
Già! I chiodini! Durante la fase di sverniciatura precedentemente descritta, sul fasciame erano state riscontrate file parallele di forellini, praticamente la traccia delle lastre di rame!
Nel tempo il calafataggio si è evoluto, giungendo al tipo di applicazione qui adottata che prevede, in sequenza, un lezzino catramato e un sagolino di stoppa di canapa trecciata. Tuttavia questi, secondo la necessità, possono essere uniti a formare una doppia treccia e applicati insieme allo stesso tempo. L'azione del calafato, maestranza specializzata in questa operazione, è decisa e precisa, i colpi inferti alla canapa per pressarla nei comenti sono udibili da molto lontano, avendo lo scafo come cassa di risonanza. Essi producono anche svariate tonalità rispetto alla forza impressa dal calafato che vuole ottenere una data pressatura in un determinato segmento del fasciame. A torto dunque si potrebbe credere che si tratti del semplice applicare materiale nelle fessure, viceversa quest'antica arte è esercitata da specialisti conoscitori delle caratteristiche dei legni impiegati nelle costruzioni navali tradizionali, con quell' esperienza necessaria per sapere che tipo di treccia e quale attrezzo utilizzare, e quanta forza imprimere in un determinato comento, pena l'incorrere in gravi problemi una volta la barca in acqua. Senza pensare alle banali infiltrazioni più o meno importanti, lo scafo espelle letteralmente il calafataggio mal eseguito al naturale movimento del legno, o addirittura arrivare a lesionarsi con un calafataggio esageratamente pressato.
Gli attrezzi sono il maglio, martello di legno a due teste rinforzato da cerchi di metallo; la mazzola più corta e tozza; vari ferri tipo scalpelli di diverse dimensioni, privi di affilatura ma con il bordo piatto, alcuni con scanalatura, per non recidere la treccia, chiamati palelle o calcastoppa, e poi uno decisamente più grande con manico molto lungo, il patarasso o scarpellessa, da usare per pressare la treccia in profondità (curioso notare che le palelle sono tenute con il palmo della mano rivolto verso l'alto, ma una tecnica sicuramente molto funzionale). Inoltre ci sono il maguglio o cavastoppa, ferro ad uncino tipo raschietto; la marmotta o scaravìa, cassetta degli attrezzi che serve anche da sgabello, sia per stare seduto che in piedi; da non dimenticare il grembiule, allacciato in vita a protezione delle ginocchia su cui preparare la treccia. Il mestiere del calafato, molto duro, faticoso e pieno di pericoli, come si può facilmente immaginare si è perso nel tempo, noi siamo felicissimi di aver avuto l'opportunità di assistere a questa lavorazione tradizionale raramente praticata ai giorni nostri.
Dopo il calafataggio si è passati alla preparazione dello scafo, trattandolo con il minio dal vivace colore arancio per dare uno strato protettivo al legno, e successivamente stuccando i comenti (abbiamo rinunciato alla pece bollente!), utilizzando sempre prodotti adatti alla nostra ristrutturazione tradizionale.
Pregustiamo il momento della finizione con smalto, ma che emozione, già ora ritornano subito le linee originarie del Delphin, sembra pronto al varo!